Importanti Arredi e Dipinti Antichi - I

431

Maestro romanico dell'Italia meridionale
(Inizio XIII secolo)

Storie di Giuseppe

Scultura in marmo bianco
cm. 37x131,5

Tre formelle in altorilievo, fregio continuo; da destra: Giuseppe calato nel pozzo; La tunica insanguinata di Giuseppe viene mostrata al padre e alla madre; Giuseppe venduto agli Ismaeliti. Le tre scene sono inquadrate da una cornice in foglia d'acanto spartita da un fregio a forma di vite. Frattura sul lato sinistro.

La scultura, attendibilmente un pluteo (parapetto istoriato per limitare un recinto) o una architrave, è un importante esempio di scultura romanica della metà del secolo tredicesimo.
Il motivo iconografico della Vita di Giuseppe occupa un posto rilevante nelle scene raffigurate dall'arte paleocristiana in poi. Un modello alto sono i rilievi della Cattedra eburnea dell'Arcivescovo Massimiano del Museo dell'Arcivescovado di Ravenna, già assegnata a maestri alessandrini del VI secolo, e le due scene di Giuseppe calato nel pozzo e della Tunica insanguinata mostrata al padre e alla madre possono essere assunte a pietra di confronto con la nostra scultura (cfr. L'arte del Medioevo, tavv. 30/40).
Il modo di inquadrare una delle scene, quella della tunica, in un edificio con due timpani a cornice baccellata, posti su colonne a duplice ordine di foglia, sembra rimandare ai fronti dei sarcofagi paleocristiani, come il Sarcofago del Prefetto Giunio Basso, Roma, Grotte Vaticane, il Sarcofago con scene della Passione, VI secolo, Roma, Mausoleo di San Sebastiano, e a quello dello stesso tema, IV secolo, n. 164 del Museo Lateranense Cristiano (cfr. Le sorgenti dell'arte cristiana, 1967, p. 296, nn. 19, 22, 24), nonché ai rilievi del Sarcofago di Adelfia, IV secolo d.C., Siracusa, Museo Archeologico Nazionale (L'arte del Medioevo, tav. 25, ill. 32, 33), come aveva già segnalato Remigio Marini nella sua perizia scritta, senza data.
Questi elementi denoterebbero la persistenza dell'influsso di modelli classici, rilevabili anche nelle fattezze delle teste e nei capelli, in cui l'uso esteso del trapano - come nelle foglie d'acanto della cornice - è tipico della scultura tardo-antica, e nelle pieghe ripetute delle vesti. Tuttavia i caratteri formali, la tendenza al narrativo e certe angolosità dei volumi rinviano allo stile romanico dell'alta Garonna e del sud della Francia, stile di cui le sculture dell'Abbazia e della Chiesa di Moissac sono la testimonianza più alta (M. Shapiro, Arte romanica, (1931) 1988, pp. 145-291).
Rispetto ai centri del Romanico in Italia la nostra scultura mostra strette affinità non solo con esempi di Palermo, quali il Candelabro pasquale della Cappella Palatina, e con i capitelli del Chiostro del Duomo di Monreale (L'arte del Medioevo, tavv. 190, 191, ill. 248, 249, 250), ma soprattutto con i Plutei di Santa Restituita a Napoli, "opere dell'inizio del XIII secolo di maestri provenienti dalla Sicilia, dove avevano avuto parte nella decorazione del Chiostro di Monreale, con la quale appunto si concluse nell'isola questa vicenda [...] arricchitasi nel suo svolgersi anche di apporti della Francia occidentale [...] (M. Rotili, Wiligelmo e il Romanico, p. 16).
Secondo Sergio Bettini e Giovanni Lorenzoni le sculture di Santa Restituita di Napoli, come il Romanico in Campania e a Monreale, denoterebbero la persistenza di un gusto classico, unito a influssi bizantini, mentre Mario Rotili insiste sull'influsso della Francia sud-occidentale (L'arte nel Medioevo, p. 96; Wiligelmo e il Romanico, p. 16).
Tuttavia la vicenda critica dei capitelli del Chiostro di Monreale risulta complessa. Secondo Adolfo Venturi e Pietro Toesca lo stile dei capitelli era fortemente influenzato dalla contemporanea scultura classicheggiante della Campania (Venturi, L'arte romanica, 1904; Toesca, I Medio Evo, 1929). Anche Stefano Bottari collegava i capitelli monrealesi con i plutei della Chiesa di Santa Restituita a Napoli e ai rilievi del Duomo di Sessa Aurunca (Bottari, Storia dell'arte italiana, I, 1955). Raffaele Delogu ipotizzava invece che oltre a maestranze campane avessero lavorato nel chiostro, sia pure limitatamente, maestri di origine francese (Delogu, Sicilia, I, 1962). Infine Roberto Salvini, nella monografia monumentale sul Chiostro di Monreale e la scultura romanica in Sicilia, analizzando ogni capitello e confrontandolo con altri esempi dell'Italia meridionale e Francia, arrivava alla conclusione che lo stile delle sculture di Monreale, pur affondando la propria origine nei modelli della classicità tardo-antica e dell'arte bizantina, sia legato alla ventata del Romanico provenzale, in particolare con le sculture dell'Abbazia di St. Gilles e la facciata e il chiostro di St. Trophime ad Arles (Salvini, Il chiostro di Monreale e la scultura romanica, 1962).
Sulla cronologia delle sculture di Monreale, mentre parte della critica le assegnava ai primi decenni del Duecento, Salvini proponeva gli ultimi anni del regno di Guglielmo II di Altavilla, re di Sicilia, detto il Buono (1153-1189), verso il 1175-1189.
M.F.
Bibliografia di riferimento
Joseph Gantner, Marcel Pobé, Jean Roubier, Gallia Romanica, Einaudi, Torino, 1963, pp. 314, 315, tavv. 102, 103;
Meyer Shapiro, Arte romanica, Einaudi, Torino, 1988, tavv. 164-167, 169-172;
Friedrich Gerke, Le sorgenti dell'arte cristiana, Il Saggiatore, Milano, 1969;
L'arte del Medioevo. Dalle catacombe alle cattedrali romaniche, parte I, a cura di Sergio Bettini e Giovanni Lorenzoni, Touring Club Italiano, Milano, 1964;
Mario Rotili, Wiligelmo e il Romanico, Fabbri, Milano, 1968;
Il Duomo di Monreale, a cura di Sandro Chierichetti, Co.graf, Palermo, 1978.
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Importanti Arredi e Dipinti Antichi - I

thu 16 - fri 17 April 2015