Angeli - festa - schifano

ANGELI – FESTA - SCHIFANO
23 febbraio – 10 marzo 2019

Il tema di questa mostra è il sodalizio umano e artistico che alla fine degli anni Cinquanta ha legato per quasi un decennio Franco Angeli (Roma 1935-1988), Tano Festa (Roma 1938-1988) e Mario Schifano (Homs, Libia 1934 – Roma 1998). I tre artisti erano soliti ritrovarsi presso la Galleria d’arte La Tartaruga, fondata nel febbraio 1954 da Plinio De Martiis in via del Babuino e più frequentemente ai tavolini del Caffè Rosati, in piazza del Popolo. A loro si unirono in maniera più o meno continuativa, altri artisti, come ad esempio Giosetta Fioroni, Pino Pascali, Francesco Lo Savio, Sergio Lombardo, Renato Mambor, Jannis Kounellis, Cesare Tacchi, Umberto Bignardi ed Enrico Manera, tanto che nei decenni successivi si parlò di una vera e propria “Scuola di Piazza del Popolo”.
Seduti al Rosati si potevano trovare pittori americani come Cy Twombly e Willem de Kooning, letterati del calibro di Moravia e Ungaretti accanto ai giovani poeti del Gruppo 63, critici come Argan, Brandi, Calvesi, Parise, artisti delle generazioni precedenti, Mafai, Guttuso, Capogrossi, Turcato, Perilli, Novelli, collezionisti curiosi e appassionati come Giorgio Franchetti. Confronti, discussioni, scambi continui che porteranno alla genesi di una delle più incredibili esperienze umane e artistiche dell’Italia del secondo dopoguerra.
Negli anni Sessanta Roma è una città viva, dinamica, uno dei maggiori punti di incontro artistici e culturali, simbolo del ritrovato benessere economico dopo la fine della seconda guerra mondiale e nello stesso tempo espressione di nuove tendenze e di un forte desiderio di rinnovamento. La presenza di artisti, poeti, scrittori, giornalisti, fotografi, designer e altri personaggi del mondo della canzone, del cinema e del teatro, italiani e stranieri, crea in pochi anni una mescolanza di linguaggi, una pluralità di idee e opinioni altamente stimolanti, che spingono alle sperimentazioni più ardite, sia dal punto di vista tecnico e stilistico, che dei contenuti. Nello stesso tempo a Roma, in contrasto con le ristrettezze degli anni della guerra, esplode la voglia di vivere, di godersi le bellezze, il clima, la cucina ed i divertimenti: sono gli anni della “Dolce vita”, celebrata dal noto film di Federico Fellini. Mario Schifano, Tano Festa e Franco Angeli, soprannominati “artisti maledetti” per lo stile di vita ribelle e trasgressivo, vivono un decennio fondamentale per la loro crescita artistica e pongono le basi di tutte le complesse ricerche estetiche che caratterizzeranno le loro opere nei decenni successivi.


Franco Angeli
Franco Angeli nasce nel 1935 a San Lorenzo, quartiere popolare di Roma, e si avvicina alla pittura da autodidatta. Se nelle primissime opere appare influenzato dall’informale materico di Alberto Burri, ben presto comincia a raffigurare sulle tele i simboli iconici della sua contemporaneità, emblemi di Roma come la lupa capitolina, le lapidi o l’obelisco di Piazza del Popolo, e effigi del potere politico ed economico – Angeli sarà forse l’artista più politicizzato dei tre – come l’aquila che campeggia sul mezzo dollaro statunitense, svastiche e falci e martello. Spesso questi segni, dipinti tramite spray e mascherine per restituirne tutta la loro potenza iconica, sono distanziati dallo spettatore mediante il filtro di tessuti leggeri apposti sopra la superficie dipinta, i caratteristici velatini, quasi a volerne censurare la forza espressiva. Nella sua produzione successiva entreranno nelle sue opere altre suggestioni, di spirito più metafisico e ludico, come aeroplani, falci di luna, paesaggi deserti, architetture e manichini, resi con campiture di colore piatto e brillante, secondo una progressiva geometrizzazione
dell’immagine.


Tano Festa
Tano Festa nasce nel 1938, ed è l’unico dei tre che compie studi artistici, diplomandosi in fotografia all’Istituto d’Arte; pittore e poeta, nella prima fase della sua attività sviluppa una peculiare ricerca sull’oggetto di uso comune, ricostruendo persiane, porte, finestre, armadi e dipingendoli, ormai spogliati da ogni loro funzione e assunti nella dimensione contemplativa della pittura. Accanto a queste esperienze oggettuali Festa comincia un dialogo, proseguito lungo tutta la sua carriera, con la tradizione artistica italiana, e soprattutto con Michelangelo; gli affreschi della Volta Sistina sono isolati e frammentati in sequenze di flash fotografici, e trasformati in veri e propri oggetti pop: “Per un artista italiano, romano e per di più vissuto a un tiro di schioppo dalle mura vaticane, popular è la Cappella Sistina, vero marchio del made in Italy” (intervista ad Antonella Amendola, 1986). Dopo un periodo di crisi e isolamento, negli anni Ottanta vive una nuova fase di felicità creativa in cui la sua pittura si fa più libera e gestuale, continuando a incorporare suggestioni della storia, come nelle serie dei Cardinali e delle Piazze d’Italia, o identificandosi con un singolo gesto giocoso e liberatorio nelle tele con i Coriandoli.

Mario Schifano
Mario Schifano, forse la personalità più imponente e di successo dei tre, nasce nel 1935 a Homs in Libia, dove il padre lavorava come archeologo nel sito di Leptis Magna; tornato a Roma, trova un impiego come restauratore al Museo Archeologico, e lì comincia a disegnare e a dipingere. Il suo esordio, contraddistinto da dipinti monocromi stesi con una pennellata mossa e sensuale, su cui si stagliano lettere e cifre, è folgorante, suscitando l’immediato interesse di critica e mercanti italiani ed esteri. Schifano soggiorna in America, stringe legami con le più importanti personalità artistiche e intellettuali, sulle sue tele cominciano a apparire insegne e scritte pubblicitarie, citazioni e riflessioni sul Futurismo e sui suoi studi del movimento in pittura. Lavoratore instancabile, affamato di vita e di immagini, Schifano fotografa, realizza cortometraggi e veri e propri film, scatta istantanee agli schermi televisivi sempre accesi in casa e in studio, che poi sviluppa su tela e colora. La pittura di Schifano è ricca di suggestioni molteplici che egli riporta sui dipinti come cannibalizzandole, restituendoci immagini che sfuggono alla contemplazione, come se sulle tele si riflettesse l’inquietudine e l’irrequietezza del suo creatore. Nei grandi dipinti degli anni Ottanta la pittura arriva a strabordare sulla cornice, in una costante gioia e felicità creativa dove le suggestioni pop si fondono alla materia e al gesto con leggerezza, nella volontà di rappresentare le cose per quello che sono: “La mia maniera è guardare: le cose sono tutte diverse fra loro, e io voglio rappresentarle nella loro diversità. Non amo la psicologia, o i quadri che parlano di una psicologia. Né amo la psicologia dell’artista”.