Arredi e dipinti antichi provenienti dal palazzo bresciano della famiglia Pederzani Bonicelli, da una residenza emiliana e da committenze private - I

472

Scuola italiana del XVII secolo

Allegoria della Pittura

Olio su tela
cm. 177x256,5

Reca il monogramma in basso a destra: LG.

Come per il dipinto pendant Allegoria della Musica (lotto n. 471), questa Allegoria della Pittura denota che l'autore aveva un grado elevato di conoscenza dell'iconografia, non riconducibile per la sua complessità di associazione di simboli diversi esclusivamente al manuale più usato, L'iconografia di Cesare Ripa nella edizione padovana del 1625.
L'unico artista che denota una conoscenza alta dell'iconologia, seppure in chiave esoterica, era Salvator Rosa (1615-1673), di cui esiste un supposto ritratto attribuito al Giordano che, secondo un'ipotesi di Nicola Spinosa, avrebbe potuto incontrare e "frequentare il già celebre maestro napoletano anche in occasione di uno dei suoi soggiorni a Roma dopo il '60" (Luca Giordano 1634-1705, Electa, Napoli, 2001, scheda in catalogo pp. 180, 181, n. 50, siglata N.S.). Due degli esempi maggiori di "accumulazione di simboli iconologici" del Rosa sono appunto Democrito in meditazione, 1650, Copenaghen, States Museum of Kunst, e La Fortuna, 1659, Malibu, Getty Museum, che presentano ambedue una ridondanza  di "oggetti simbolici" sul terreno (L'opera completa di Salvator Rosa, a cura di Luigi Salerno, Rizzoli, Milano, 1975, tav. XXXIX, cat. n. 10, e tav. XLIII, cat. n. 126). Di Democrito in meditazione, Rosa trasse, in controparte, anche un'incisione  (Richard W. Wallace, The Etchings of Salvator Rosa, Princeton University Press, Princeton, 1979, n. 104/I). Altri precedenti di "accumulo " iconologico erano altresì costituiti dalle incisioni di Pietro Testa (1612-1650), come Il Trionfo della Pittura nel Parnaso, 1642 ca., che presenta una ridondanza allegorica superiore sia a quella di Rosa che a quella del nostro dipinto (Elisabeth Cropper, Pietro Testa 1612-1650. Prints and Drawing, Philadelphia Museum of Art, Philadelphia, 1988, pp. 151-154, n. 73).
Il nostro dipinto nonostante la presenza del monogramma L.G. in basso a destra, che si mostra compatibile alla pellicola pittorica sotto i raggi U.V., non denota le caratteristiche barocche della pittura di Giordano, e farebbe propendere per una datazione un po' anteriore a quella del lavoro dell'artista. Confrontando questa Allegoria con un'opera di Giordano come Rubens dipinge l'Allegoria della Pace, Madrid, Museo del Prado, che presenta il maestro fiammingo assiso al cavalletto con una miriade di figure intorno, non si notano analogie stilistiche rilevanti o perlomeno tali da giustificare l'attribuzione allo stesso maestro (Luca Giordano 1634-1705, op. cit., p. 55).
La presenza degli oggetti disposti sul pavimento, la testa di un putto, il cranio umano, il libro aperto di disegni fisiognomici, la testa scolpita di "carattere" di profilo, la testa marmorea di classica bellezza, infine il cagnolino e il putto con cartiglio, potrebbero alludere alla Vanitas.
La forte rilevanza nei due dipinti della natura morta su tavolo coperto dal tappeto rosso finemente tessuto, gli strumenti musicali nell'Allegoria della Musica, la brocca e l'elmo metallici finemente istoriati, finirebbero per indicare a ricercare l'autore tra i pittori di nature morte attivi a Roma dal 1650 al 1700, come Francesco Fieravino, "Il Maltese", anche se sembra mancare l'orditura dei tappeti in rilievo; tale ignoto pittore potrebbe essere una mano diversa dall'autore delle figure.
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gio 25 - ven 26 Ottobre 2018
Prato